Qui vi invitiamo a scoprire l’opera di un’artista che trasforma incubi in arte e visioni oniriche in colore: Gio Pistone.

Nata a Roma, Gio Pistone ha scelto molto presto il disegno come suo secondo linguaggio, trasformando le pareti della sua camera da letto in una tela gigantesca, già da bambina, rivelando una vena creativa dalle dimensioni quasi megalomani. I suoi soggetti sono spesso creature di fantasia, che oscillano tra il bizzarro e il mostruoso, nate dall’intensità dei suoi incubi notturni. Sua madre, studentessa di psicologia, le suggerì di disegnare quelle visioni al mattino per affrontare le paure che la tormentavano. Ed è proprio dai sogni, o meglio dagli incubi, che Gio Pistone continua a trarre ispirazione.

Con un passato nella scenografia teatrale, l’artista ha imparato a dare struttura ai suoi sogni, approfondendo il suo amore per l’immensità e il grande formato. Ha fondato il collettivo “La Sindrome del Topo”, un gruppo di creatori di strutture di gioco e labirinti, portando avanti progetti che mescolano arte e sogno, tra giostre fantastiche e spazi di meraviglia. Le sue opere, esposte in festival di muralismo e mostre in tutto il mondo, sono caratterizzate da colori vivaci e linee decise, capaci di catturare l’attenzione e raccontare storie complesse e profonde.

Qui, davanti a noi, si staglia il container dipinto da Gio Pistone, intitolato “Le Sarcophage de la femme poisson”. Nonostante la vivacità dei colori, l’opera colpisce per la sua forza drammatica: rappresenta una figura femminile assassinata, un simbolo del tragico momento storico che il nostro Paese sta vivendo. L’artista ha maturato a lungo questa idea e ha trovato nella struttura del container un canale perfetto per esprimerla.

Il messaggio è chiaro: gli orribili eventi di cronaca che coinvolgono le donne vengono spesso trasformati dai media in macabre storie di gossip, disumanizzando le vittime e sfruttando il dolore dei loro cari come spettacolo. L’opera è un grido contro questa narrazione distorta. La  femme poisson , con il suo corpo delicato e la sua storia ormai sepolta, ci invita a riflettere su chi era, come viveva, cosa amava. Come un antico sarcofago egizio, l’opera conserva il ricordo di questa figura femminile, non più con il suo nome, ma con la dolcezza della sua esistenza, raccontando episodi di vita, passioni e piccoli gesti quotidiani, come lo sguardo del mattino appena sveglia.

Il titolo, in francese, aggiunge un elemento di straniamento, quasi come se volesse allontanare la brutalità dell’evento dalla nostra realtà immediata, trasformandolo in un simbolo universale. “Le Sarcophage de la femme poisson” non è solo un’opera di denuncia, ma anche un omaggio alla vita, alle emozioni e alla delicatezza dell’essere umano.